Di solito, infatti, non desidero insegnare proprio nulla. Piuttosto, mi interessa condividere con più persone possibili quello che scopro giorno per giorno, e se da questa condivisione accade che chi sta dall’altra parte abbia voglia di imparare...beh, sono felice.
Ma questo dettaglio è molto importante: non sono io che insegno. Sei tu, tu che sei dall’altra parte, che scegli di imparare. Imparare è un’azione consapevole, è una scelta, è un’apertura. Implica il darsi una possibilità di scoprire qualcosa di nuovo. È un’attività adatta ai curiosi ed è il più grande dono che in quanto esseri umani abbiamo ricevuto.
Una delle cose che amo di più di quando insegno è che, mentre lo faccio, imparo. In effetti, penso di imparare più di quanto insegni.
Cos’è, quindi, che faccio quando insegno?
Prima di tutto osservare, raccogliere più informazioni possibili che mi aiutino a vedere dove il movimento sembra difficile, faticoso, doloroso.
Ho scoperto questa possibilità attraverso il metodo Feldenkrais® che studio e condivido con grande amore. Prima, ero più legata alla forma di un movimento, come molti altri che hanno iniziato presto a danzare. Ma la forma di un movimento è sterile se ricercata come fine a se stessa. Più interessante è percepire le sensazioni e la funzionalità di un movimento, di un’azione. Ma come faccio a risvegliare tutto questo in me stessa e in chi ho di fronte?
È qui che entrano in gioco le domande.
Una domanda ha il potere sottile di rivolgere lo sguardo all’interno, di suggerire senza imporre, di incuriosire e allo stesso tempo guidare. Per questo motivo utilizzo moltissimo le domande quando insegno.
“Come stai respirando? Cosa fa la scapola destra mentre ruoti la testa a sinistra? A cosa pensi mentre allunghi la mano verso il soffitto? Dove guardi mentre cammini?”
La risposta non è tanto rilevante quanto il fatto stesso di porsi la domanda. Perché una domanda è capace di guidare l’attenzione verso dettagli di solito in ombra, ed è quindi uno strumento fondamentale di conoscenza di sé, ovunque questa conoscenza possa poi portare.
D’altra parte, già più di 2000 anni fa un certo filosofo chiamato Socrate fondava tutto il suo metodo di trasmissione del sapere proprio sulle domande. La maieutica, criterio socratico di ricerca della verità, altro non è se non un dialogo. Domande che stimolano la ricerca di una risposta in se stessi, per risvegliare l’autonomia e l’unicità del pensiero.
Ecco, se dovessi dire cos’è che faccio quando insegno si tratterebbe di questo: cercare le domande più adatte per permettere, prima di tutto a me stessa, di notare i dettagli, le sfumature e, a partire da questo, imparare.
Grazie, un bel post che permette di capire meglio la tua capacità di “porti” rispetto agli utenti dei tuoi corsi. Però, alcuni concetti io personalmente li trovo davvero “inarrivabili”. Per coloro come me, neofiti del Pilates o in genere di forme di meditazione, è impossibile “pensare”, “farsi domande” mentre si esegue un esercizio. Sei troppo impegnato a guardare lo schermo, a cercare di farlo alla meno peggio per poterti contemporaneamente interrogare su cosa faccia la scapola destra mentre la testa ruota a sinistra. Capisco però che dietro la tua straordinaria capacità di eseguire anche i più difficili esercizi con la massima “grazia” e “lentezza” c’è una enorme forza interiore che permette ai tuoi muscoli di muoversi millimetricamente senza scatti ma appunto con un’armonia che mi lascia (a me profano) del tutto spiazzato. Questo “auto-controllo” del movimento è oggettivamente (immagino….) frutto di anni di lavoro non solo sulla muscolatura ma sulla mente. Credo che serva un’applicazione costante, quotidiana ed anche una “predisposizione” mentale innata che è difficile da trovare sicuramente in me ma forse in molti tuoi followers. Potrei farti una proposta infantile e probabilmente stupida (ribadisco la mia ignoranza): perché non provare nei corsi “Base” di dare “gocce” di autocontrollo? All’inizio o alla fine della lezione potresti cercare di farci fare un piccolo movimento “perfetto” che possa evidenziare in ognuno di noi “cosa” ci impedisce di farlo alla perfezione come lo fai tu. Questo permetterebbe ad ognuno di noi di vedere le nostre “rigidità” che possono essere di natura fisica o solo mentale. Un piccolissimo movimento: aprire/alzare un braccio, una gamba, piegare la testa basterebbe a “prendere coscienza” della nostra rigidità e attraverso il tuo consiglio riuscire a farlo bene…come lo fai tu. Scusami per questa considerazione probabilmente stupida ma secondo me solo così io e forse altri potremo “percepire le sensazioni e la funzionalità di un movimento, di un’azione” come tu fai.
Ciao e grazie